martedì, dicembre 27, 2005

Jamie Lidell: "Multiply"

Negli ultimi mesi ho spesso letto di Jamie Lidell. Ho cercato invano il suo disco d’esordio. Botta di culo e in quel di Amsterdam ho comprato Multiply la sua seconda ed ultima fatica.
Una cover glam e di luccicante psichedelica con il volto di Jamie da strastrasupersexsimbol che si fonde con i colori e dentro un cd di straordinario funky-soul tecnologico. Stop...

1 commento:

ghemison ha detto...

Negli ultimi mesi ho spesso letto di Jamie Lidell. Ho cercato invano il suo disco d’esordio. Botta di culo e in quel di Amsterdam ho comprato Multiply la sua seconda ed ultima fatica.
Una cover glam e di luccicante psichedelica con il volto di Jamie da strastrasupersexsimbol che si fonde con i colori e dentro un cd di straordinario funky-soul tecnologico. Stop.
Questo disco esce per la Warp (tra i tanti Aphex Twin e Antipop Consortium…) ed è la cosa forse più accessibile di tutto il catalogo. Jamie Lidell è completamente fuori prima di incidere questo disco faceva concerti tutto da solo: si registrava come human beatbox mandava in loop e poi ci cantava sopra. Ed ha una voce incredibile davvero too black!
Multiply è il soul il funk il blues del 2000 rinato sulle ceneri di tutto ciò che vi era prima. Razhel Sly Stone Prince Marvin Gaye Jamiroquay il reverendo Brown ed anche i Red Hot Chili Peppers frullati tutti insieme con un bel po’ di salsa elettronica. Ma sarà la voce o la veste data al tutto che il disco fa muovere il culo divertire una mente attenta e apre porte nuove affascinanti per il futuro della black lontano dal nu-suol mainstream.
You got me up parte sexy e dinoccolato come Sly. Multply sotto lo smoking vintage ha un bellissimo testo di lisergica modernità (I’m so tired of reapiting myself beating myself up wanna take the trip and multiply). When I come back around è una collaborazione in salsa glitch tra Prince and the Godfather Of Noyze. In A little bit more un loop vocale cupo quasi quanto l’ultimo Mos Def fa da base per un interpretazione scattante degna di un efebico James Brown. Strajazzata la contagiosa What’s the use mentre Newme è una jam-session funkyssima tra i peperoncini rossi piccanti di fine anni ‘80 e un produttore fuori di testa per anfetamine.
The city è il singolo più intelligente degli ultimi anni: un blues soul con un percussionista paranoico e disturbi vocali che sembrano arrivare da tutte le parti. Eresia ma sembra un Tom Wayts rumorista venuto dal futuro. Questo disco è straordinario punto e basta. Forse non avrà lo spazio commerciale che si merita ma ha la potenzialità di diventare il faro per la black music che verrà.

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